Lunga e diritta correva la strada

Terza fatica …letteraria, anche questa relativa a due giornate di pedalata.

Non penso che mi daranno mai il pulitzer e non credo neanche che mi candiderò (però se avete i moduli a casa e qualche amico in commissione, per cortesia fatemelo sapere).

Partiamo da ieri, lunedì, dove ho affrontato la seconda fatica (di Ercole? In effetti dovrebbero essere dodici…), da Arabba a Cortina attraverso il Falzarego, percorso fatto tante volte d’inverno con gli amici quando da Porta Vescovo ci vogliamo spostare velocemente sulle piste da sci di Cortina e quindi ci stringiamo in uno dei pulmini dei cosiddetti avvoltoi…per carità sono taxisti che fanno il loro lavoro, però un po’ li ricordano quando compaiono sui passi del Sella Ronda alle 4 in punto, 30 secondi dopo la chiusura dell’ultimo impianto utile per tornare con gli sci nella valle di provenienza e raccolgono sventurati fino a capienza (a 20 euro cadacranio).

Ecco, in bici è decisamente più impegnativo, anche se il fascino di salire per questa vallata non troppo frequentata (diciamo che i percorsi di avvicinamento alle località più rinomate non passano di lì) è impagabile così come la sensazione di girarsi a due tornanti dalla cima e guardare indietro verso la vallata verdissima con il Col di Lana sulla destra.

Gli obiettivi della giornata erano tre, tutti rigorosamente raggiunti:

  • Primo: arrivare. Non è che ne fossi così sicuro, in fondo erano 43 km con 1187m di dislivello in salita, il giorno dopo il Pordoi
  • Secondo: pedalare sempre. Anche qui, tolti tutti quelli che mi passano via “come fosse Pantani per lei anche per due” (sono un genio… J) e che comunque non hanno bagagli (e non hanno voluto neanche fare pipì in una provetta, n.d.r.), volevo evitare anche quel paio di km spingendo la bici del giorno prima al pordoi, fa brutto. Quindi con molta calma (vi piacciono le foto su Instagram? Per farle ho dovuto aumentare le soste…), sono arrivato in cima pedalando.
  • Terzo: fare la foto in cima al Falzarego, vicino al cartello che segnala 2105 slm (per cortesia apprezzate) con su il gilet tecnico da bicicletta! Perché? Innanzitutto sembro magrissimo, ma il motivo principale è che sulla foto del Pordoi, con la maglietta bianca “vedo-nonvedo”, qualcuno ha commentato che avevo sotto il costume di Borat ….

Passiamo a martedì, tappa da Cortina a Dobbiaco e da qui a Lienz in Austria (sbagliando strada in dirittura sono 75,5 km con i loro 763m di dislivello in salita).

Partenza prima delle otto guardando il meteo (40% di probabilità di rovesci dopo le 11), fa un certo freddo (in alcune regioni di Italia viene anche definito “un freddo porco”), oggi con il sole mi sono venute due ginocchia bordò (“tra su de ciuc” in milanese, intraducibile n.d.r. J) senza neanche accorgermene.

Nella salita verso Cimebanche mi accorgo che il cambio ha dei problemi: riesco ad usare solo il pignone più grande (con le tre corone davanti, in salita non era neanche male). Ovviamente, conscio della mia scarsa dimestichezza con la meccanica (ed anche con il grasso della catena, forse anche più la seconda J), non mi sono minimamente sognato di aggiustarlo da solo nonostante il set completo di attrezzi di cui mi ha dotato Taurus 1908. Risultato? Per arrivare a Dobbiaco ho pedalato per un’ora a “frullatore” senza possibilità di cambiare, come quando da ragazzino avevo convinto mia sorella a barattare la sua “Graziella” (era il vezzo dei bambinetti dell’epoca) con la mia bella bici da uomo che mi avevano appena regalato.

Tra parentesi, ho visto che Taurus 1908 ha in assortimento anche delle “Grazielle” fatte per Acqua dell’Elba in color acquamarina…mi sa che potrei anche farmi fregare ancora..

Arrivato a Dobbiaco mi fiondo nel primo negozio di bici, Dolomiti Slowbike, dove mi invitano ad approcciare il loro meccanico, Max. Devo dire che ero un po’ spaventato da questo nome da altoatesino mono lingua come tanti ce ne sono in Alta Pusteria…invece Max è di Treviso (“sei Veneto, non altoatesino?” “Come dicono qua, italiano. Anzi, mi piace esagerare la cadenza da quando sono qui”). Tra una “ciaccolata” e l’altra (avevo un nonno di campo San Polo, n.d.r.), il mio simpatico quasi coetaneo mi aggiusta il cambio, mi cambia un raggio e raddrizza perfettamente  la ruota – grazie!

La seconda parte della giornata è quella del titolo dell’articolo, la bellissima ciclabile che da Dobbiaco porta a Lienz (poco meno di 50 km in piano o leggera discesa, la maggior parte accanto ad un fiume quest’anno particolarmente impetuoso e ricco d’acqua.

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In questo periodo non è particolarmente frequentata, qualche straniero che ha anticipato le ferie, e quindi veramente affascinante, per paesaggi, silenzi (tranne il fiume) e lontananza dalle macchine.

Percorrerla da solo è bellissimo, ti concentri con i tuoi pensieri e via…

A metà ho sfilato una compagnia di 20 svizzeri con pettorine gialle riflettenti (e abbigliamento “preciso”) dietro uno con la scritta “GUIDE” e seguiti da un “chiudi pista” con un grosso zaino (la merenda?). Fermandomi a fare una foto, li ho dovuti poi superare ancora: sarà stata la mia impressione, ma la guida ed il chiudi pista guardavano con tanta invidia la mia solitudine: adesso però finisco l’articolo perché ho una conversazione con “Wilson” (non vorrei si sgonfiasse J).

Claudio Bianchi

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