Lo ZEN e l’arte della manutenzione della bicicletta (sono un ragazzo fortunato)

Ultima fatica letteraria di questo tour ciclistico.

Perchè il titolo? Io sono per lo Zen, punto.

Premesso che il libro, quello vero della citazione, non l’ho mai letto, la manutenzione della bicicletta (diciamo pure la manutenzione in generale) non è una cosa per cui ho talento nè mi appassiona particolarmente.

Al di là del fatto che la manutenzione spesso richiede la lettura di manuali di istruzioni e/o lo sporcarsi le mani di grasso (entrambe cose che non mi vengono proprio naturali e che faccio solo se fortemente costretto dalla situazione), penso che la manutenzione sia la negazione della creatività e non riesco ad applicare il cervello in questi casi, parto dal presupposto che sicuramente c’è chi ha più talento di me – a questo punto richiedo l’aiuto da casa (o anche da dove volete, basta che non lo debba fare io).

Questa teoria ha un fortissima base scientifica che viene dalla tradizione illuminista di Milano ed è ben sintetizzata dalla frase: “Offelee, fa el tò mestee”.

Due numeri di background: in 11 giorni di pedalata ho fatto 1040 km, 5 passi dolomitici (2 veri, Pordoi e Falzarego), +6870 metri di dislivello (12 barrette energetiche e credo 17 bustine di polase)

Detto questo, sono un ragazzo fortunato:

  • Mi sono portato dietro per 2 settimane gli attrezzi per la manutenzione e le camere d’aria di scorta (sono ancora tutti intatti nelle relative confezioni, che mi sono guardato bene dall’aprire – qualcuno mi aveva anche suggerito di allenarmi a cambiare le camere d’aria…)
  • Non ho mai bucato
  • Ho avuto solo due piccoli problemi meccanici (vite allentata sul cambio più un raggio rotto a Dobbiaco e pedale smollato a Badia Polesine) ma sono riuscito a trovare due “talenti professionisti” che me li hanno risolti
  • In due settimane tendenzalmente caratterizzate da perturbrazioni diffuse, ho preso l’acqua solo un paio di volte in maniera assolutamente marginale (un quarto d’ora in Austria e gli ultimi 2 km arrivando a Rovigo). Devo dire che in questo mi hanno aiutato il meteo dell’iphone, il fatto che alle 3 del pomeriggio fossi quasi sempre già arrivato (e infatti le due volte che l’ho presa mi ero attardato) ed anche una discreta razione di fortuna (appunto)

Non mi lancio invece in una definizione filosofica di Zen (non ne sarei in grado) ma mi limito a constatare che in bicicletta si pensa veramente tanto. Il cellulare che non suona e l’assenza di altre distrazioni sicuramente aiutano, i paesaggi maestosi pure (dalla meraviglia delle Dolomiti al fascino dei colori dei campi della pianura piadana rispetto al grigio-bianco e azzurro che si alternavano in cielo) ma probabilmente è il desiderio (o necessità) di staccare il cervello da piccole banalità tipo “oggi non riuscirò ad arrivare” che spingono a liberare la mente da tutto quello che è accessorio.

Probabilmente amici ben più ferrati di me potrebbero azzardare anche paragoni più arditi, il viaggio che diventa evocativo del viaggio dell’eroe. Non lo so e non lo voglio sapere, sicuramente l’essere arrivato a destinazione è una grande soddisfazione, gli ultimi due giorni sono stati forse i più duri perchè avevo la consapevolezza di esserci riuscito e quindi la determinazione crollava verticalmente….

Ieri ho anche pensato di arrivare a Gessate, capolinea linea verde verso Est e fare la mia entrata trionfale a Milano in metropolitana. Poi la mia testa di legno ha avuto il soppravvento, così come l’ambizione di fare una foto davanti al Dòm.

L’accesso a piazza Duomo è stato sulla dorsale corso Lodi, corso di Porta Romana, corso Italia, tutte rigorosamente caratterizzate da una bellissima pavimentazione in Pavè: ecco, 4-5 km sul pavè dopo 125 km corrispondono a tutta la Milano-Roubaix (non è un errore, si parte prima di Parigi per enfatizzare il challenge epocale, n.d.r.) in termini di ripercussioni sul soprasella.

Cosa mi ha lasciato questo viaggio? Sicuramente
la voglia di provarci – come dicevo in un articolo precedente (ho deciso autonomamente di promuoverli ad articoli), “il viaggio ci rende felici, non la destinazione”. Sarebbe stato lo stesso se non ci fossi riuscito? Onestamente, credo di sì. Forse avrei utilizzato tutta la mia esperienza di consulente per ipotizzare un numero di scuse plausibili e sensate, ma avere la consapevolezza di poterlo fare (il viaggio intendo) non ha prezzo, a quel punto hai anche le spalle grandi per poter fallire e parlarne serenamente – Brecht diceva che chi combatte rischia di perdere, chi non combatte ha già perso.

Cosa mi mancherà? Purtroppo temo che questa esperienza non mi permetterà di ricevere il premio Pulitzer, ma il fatto di voler produrre un articolo ogni due giorni mi è piaciuto veramente tanto, è stata una bellissima esperienza e devo dire grazie a Taurus 1908 che me l’ha consentita. Paradossalmente, è questo il motivo per cui li devo ringraziare di più, oltre alla bellissima bici con i parafanghi di legno che mi hanno lasciato assemblare per il mio viaggio.

Con questo ho introdotto i ringraziamenti:

  • Taurus 1908, appunto
  • Un grazie particolare a chi mi ha stimolato sulla via della testimonialità e del marketing, è stato molto divertente
  • Un pensiero triste per un amico che non c’è più, che mi ha fatto capire che le mie montagne possono essere attraversate anche a pedali
  • Un ringraziamente sentito per gli amici che non lo credevano possibile, primo motore motivazionale (ed anche a Elena per la pazienza dimostrata)
  • Grazie al Coro Femminile di Stato della Radio e Televisione bulgara che ha portato in Italia finalmente un ballo a misura d’uomo, più umano, più vero (era tanto che non la sentivate, vero?)
  • Un ultimo grazie a tutti i miei affezionati lettori

Claudio Bianchi

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