Dopo il week end di quasi relax, sono partito domenica pomeriggio sulla strada del ritorno a Milano. Dopo la settimana dolomitica l’ansia da prestazione è sicuramente superata: purtroppo è “tutta discesa” solo metaforicamente, e non avete idea di quanto sia grande la pianura padana…
La frase del titolo la sto metabolizzando, penso che sia abbastanza vera, soprattutto considerando che tanti amici non avrebbero scommesso una lira sul completamento del viaggio, forse neanche io. Il viaggio è diventato una sfida con me stesso, bella già per il fatto di giocarla.
Comunque, per fuggire al piattume della pianura dopo gli emozionanti paesaggi delle mie Dolomiti, sto cercando di incontrare amici nella varie tappe verso l’agognata amaca del terrazzo di casa, destinazione ultima. Per carità, non voglio trattare male i paesaggi veneti e lombardi che ancora mi aspettano: in Italia, come direbbe Bartali, dove pedali pedali che ai francesi ancora le balle gli girano (libera estrapolazione da una canzone di Jannacci, n.d.r.). Solo che la sfida va rinnovata nel continuo.
In generale, ogni giorno i primi dieci chilometri sono i più duri mentalmente, così piccoli come tratta di fronte all’immensità dell’obiettivo.
Dopo il ventesimo chilometro si comincia ad apprezzare la tangibilità dell’obiettivo e questo infonde se non forza almeno naturalezza. Qui la mente spazia, si seguono ipotesi e scenari di argomenti che hanno di solito poco a che fare con le due ruote e si pedala con disinvoltura non vedendo l’ora di dare un seguito ai propri pensieri (telefonate, discussioni, anche articoli per questo blog: molte delle idee originali nascono pedalando).
A questo punto nella parte finale bisogna separare la tappa leggera da quella epocale.
Nella tappa leggera, senza meta prefissata, parte la sindrome dell’”abbiamo fatto 30, facciamo 31”, in cui già consci di avere già dato, si continua a pedalare fino ad abbrutimento per il piacere del viaggio, all’inseguimento della nostra fortezza Bastiani semovente che è sempre qualche chilometro avanti.
La cosidetta tappa epocale ha invece una meta ambiziosa, determinata e spesso oltre il limite delle proprie capacità fisiche. Anche in questo caso la destinazione diventa relativa, la discriminante è tra l’esserci arrivato e l’aver dovuto invece ricorrere ad uno degli ennemila fantasiosi piani B che sono stati comunque ipotizzati pedalando, dal drone di Amazon al pullman di Priscilla la regina del deserto, tutti ovviamente diretti dove stiamo andando noi…
Comunque, per dirla in francese, non ci sono cazzi, quando non se ne ha più …ogni chilometro è un supplizio eterno. Adesso che sono allenato, il mio limite sono circa 110km, dopo pedalo con i gomiti e non solo metaforicamente. Il dubbio è che i 29 gradi degli ultimi 2 giorni abbassino il mio limite a circa 70km…vediamo.
Nel dubbio, per la tappa di domani, non ho una ma ben due destinazioni:
- La foto con la mia Taurus 1908 davanti al ponte di Calatrava a Venezia (ho chiamato il massimo esperto di Venezia per capire se i suggerimenti pedonali di Google Maps – traghetto B fino a Cannaregio e poi in pochi minuti fino a Piazzale Roma – non mi facessero arrestare…ipotesi abbandonata, pedalerò sul ponte dalla terraferma)
- Cena con amici a Rovigo
Claudio Bianchi
Una risposta a “Il viaggio ci rende felici non la destinazione”